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Cartografia per l'ascolto dei Parlamenti di aprile

a cura di Cristina Ventrucci

11 aprile
LA NON-SCUOLA



Marco Martinelli. Siamo asini e Pinocchi (da 00:16 a 06:50)
Nel dichiarare aperti i Parlamenti d’aprile Marco Martinelli riporta all’assemblea la riflessione che ha dato vita all’idea di questa festa e di questi incontri: una domanda sulla durata. Sono trascorsi trent’anni da quando insieme a Luigi Dadina, Ermanna Montanari e Marcella Nonni è stato fondato il Teatro delle Albe e l’artista svela uno degli interrogativi che hanno accompagnato il loro agire in tutto questo tempo: “Come invecchiare senza irrigidirsi, lasciando che i capelli diventino bianchi, senza  però che s’ingrigisca l’anima?”. L’altro aspetto che caratterizza la sfera filosofica del gruppo è il concetto eretico di “asinità”, lì dove la cultura, il rigore, la disciplina, la brama di conoscenza ne sono il volto segreto: “I veri sapienti sono coloro che fino all’ultimo respiro conservano un’anima asinina, ed è proprio quella che li rende tali”. Durante le serate della Primavera eretica, andrà in scena un Pinocchio realizzato con duecentoquaranta ragazzi dai dieci ai ventidue anni, che col suo carattere di rovesciamento e moltitudine si fa emblema della fertilità e dell’ascolto del mondo praticati dal gruppo.

Ermanna Montanari. Chiamata pubblica (da 08:25 a 9:27)
I “parlamentari” giunti al Teatro Rasi sono accolti su sedie molto particolari, che diventeranno in questi giorni anche protagoniste del materiale fotografico curato da Silvia Loddo e Cesare Fabbri con il gruppo Osservatorio Fotografico. Fanno parte dell’installazione Chiamata pubblica, ideata e realizzata nel 2011 da Ermanna Montanari in occasione della quarantunesima edizione del Festival di Santarcangelo, da lei diretto. Fu una chiamata ai teatri d’Italia, nel desiderio di creare una presenza collettiva in un momento molto difficile per il paese. Vi sono sedie del Piccolo Teatro di Milano o della Scala, come di lontani teatri di periferia. Più di cento sedie arrivarono a Santarcangelo come doni per costruire una platea a cielo aperto in Piazza Ganganelli, aprendo lo sguardo sull’aria pubblica e amplificando il bagliore di una scena condivisa.

Il video Eresia della felicità a Venezia, presentato in anteprima in questa occasione, non è attualmente disponibile online.
(Per ascoltare la presentazione di Marco Martinelli si vada al minuto 6:58)


Fausto Malcovati e Silvana de Vidovich. Da Mistero buffo alla non-scuola (da 21:17 a 44:48/presentazione di Marco Martinelli al minuto 17:27)
Accesi dalla stessa passione per il teatro russo, i due studiosi aprono la sessione dei Parlamenti d’aprile con un siparietto-dono a sorpresa. Per omaggiare le Albe hanno portato due marionette: un grande re, che allude all’Ubu patafisico caro alle Albe, e un piccolo Cipollino, archetipo russo all’origine della figura di Pinocchio, sulla quale la non-scuola ha lavorato in occasione di questo trentennale. Presentati questi “ospiti” inattesi, i due si alternano in un susseguirsi di ricordi dei loro trascorsi nel teatro russo, ricchi di incontri, testimonianze e materiali. È nell’attitudine di Mejerchol’d a lavorare con persone prese dalla strada (per esempio nella prima versione di Mistero buffo) che Malcovati individua un dna comune tra questo grande maestro del teatro russo e lo slancio delle Albe verso l’altro, verso il mondo esterno, confluito, tra l’altro, nell’esperienza della non-scuola. Si parla del farsi teatro, dell’essere teatro, del vivere il teatro - lungi da qualsiasi spontaneismo - come un “esercizio di cittadinanza”.

Martina Treu e Maddalena Giovannelli. Aristofane è comico (da 49:14 a 1:02:10/presentazione di Marco Martinelli al minuto 45:48)
Il punto di vista di due animate studiose della classicità conferma la corrispondenza degli aspetti più scardinanti della non-scuola con la natura profonda e vera di Aristofane. Artefici della rivista “Stratagemmi”, che indaga la tradizione con gli occhi dell’oggi, denunciano la distorsione operata dall’accademia nei confronti del commediografo e riconoscono la capacità della non-scuola di svelarne le corde comiche e dionisiache a lungo represse. L’aspetto corale della non-scuola, il valore d’incontro che l’attraversa, la sua capacità di farsi trasmissione e riferimento costante, vengono guardate come atto di formazione dello spettatore, del cittadino, della città.

Cristina Valenti. Il corpo collettivo e la responsabilità individuale (da 1:05:08 a 1:30:11/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:2:23)
Ripercorrendo i passaggi storici del rapporto tra il teatro e la scuola, la studiosa crea un parallelo tra i principi che agiscono la non-scuola e le coordinate della controcultura originatasi nel Sessantotto, con i suoi termini antiautoritari, la dimensione collettiva e il carattere formativo dell’esperienza. L’invenzione della non-scuola, nel suo porsi come corpo collettivo attraverso il quale emergono le responsabilità individuali, viene indicata dalla biografa del Living Theatre come snodo di un principio anarchico. Rimarcando anche l’unicità di un’esperienza che si porge al contempo come processo creativo e risultato artistico.

Jean Soldini. La struttura dell’esistente è il con (da 1:32:48 a 1:54.20/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:30:47)
“La struttura dell’esistente, ‘l’unica sostanza’ per dirla con Spinoza, è il con”. È questo l’incipit dell’intervento col quale il filosofo introduce il concetto della necessità dell’altro, vista nelle Albe anche attraverso la creazione della non-scuola. Il con è diverso dal più, e ogni esistente, non solo l’uomo, è fatto anche di altro da sé, un altro non assimilabile. L’incontro con l’alterità selvatica degli adolescenti, sembra per le Albe parlare di una libertà che non è quella del libero arbitrio, non quella dell’io costituito, ma è la libertà da sé, qualcosa che attiene al “luogo comune” dove possono avvenire imprevedibili incontri tra molteplici singolarità.

Lorenzo Donati. La non-scuola tra gioco puro e esposizione (da 1:56:05 a 2:06:26/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:54:45)
Il critico teatrale – cofondatore della redazione intermittente “Altrevelocità” – riconosce all’esperienza della non-scuola, che lui stesso ha frequentato da adolescente, un valore iniziatico, così come cita la propria partecipazione, in veste di osservatore, alla pratica delle Absidali (1) quale punto di riferimento per la formazione del suo sguardo sull’attore. L’intervento si dirige poi verso quella dimensione liminale in cui si colloca la non-scuola, tra il gioco puro e la sua apertura pubblica, dove lo spettatore diventa testimone ed è chiamato a mettere in pratica un altro sguardo. Donati vede un “dissidio” della non-scuola nell’atto di esporsi, e pone una domanda su come si possa riuscire a tenere sempre al centro quella sua forma viva.

Mandiaye N’Diaye. Alba africana (da 2:07:05 a 2:20:42/presentazione di Marco Martinelli al minuto 2:06:38)
Da ventiquattro anni componente del gruppo ravennate, l’attore senegalese racconta cosa abbia significato per lui l’incontro con le Albe, col loro mondo filosofico, etico, politico, artistico e umano. Oggi attivo in diversi luoghi del suo continente d’origine, l’artista ha fatto della propria appartenenza alle Albe un ponte tra l’Europa e l’Africa, portando il principio vitale della non-scuola tra i villaggi e le strade metropolitane, per combattere il neocolonialismo culturale ed economico e proporre un modello, non solo teatrale, fatto di rigore del gioco e di messa in vita del sogno, tra Aristofane e Dioniso.

(1) Laboratorio permanente condotto tra il 2007 e il 2009 da Ermanna Montanari al Teatro Rasi con otto ragazze.


12 aprile
L'ALCHIMIA DEI LINGUAGGI SCENICI



Ermanna Montanari. Le Albe alchemiche (da 7:02 a 23:02)
L’attrice e scenografa sulla sostanza molteplice che ha dato linfa al linguaggio delle Albe. Nel procedere di un processo teatrale alchemico, infuocato e impalpabile, l’archetipo di una poetica attraversata da energie plurali, lingue ataviche, fallimenti e fusioni. Con particolare riferimento al lavoro di creazione dell’Isola di Alcina, e con un inciso dedicato alla storia del Teatro Rasi, tra clarisse e cavalli.

Ascolto di un frammento di Ouverture Alcina (23:24/presentazione e integrazione di Ermanna Montanari rispettivamente al minuto 22:17 e al minuto 31:01)

Nevio Spadoni. Piegare in canto la durezza del dialetto (da 33:12 a 42:38/presentazione di Marco Martinelli al minuto 32:02)
Ha riscritto in lingua romagnola l’Alcina ariostesca, sdoppiandola e ambientandola tra i latrati di un canile di campagna. Qui disserta del suo rendere duttile l’idioma locale per cantare quella morsa d’amore, con precisazioni sulla pluralità dei dialetti di questa terra, sulla loro durezza e sull’Intonazione storta e sublime della sua musa Ermanna.

Enrico Pitozzi. L’epifania degli enti (da 44:48 a 56:35/presentazione di Marco Martinelli al minuto 43:18)
Una riflessione che fa vibrare le corde dello spettatore. Il giovane studioso dell’Università di Bologna guarda in filigrana la materia compositiva delle Albe, dall’irradiazione della presenza scenica, alla dimensione spaziale e tattile del suono, e all’architettura degli elementi, fino a toccare quella sfera ultima di creazione che risiede nello spettatore stesso.

Luigi Ceccarelli. La musica è suono nello spazio (da 59:00 a 1:12:57/presentazione di Ermanna Montanari al minuto 57:33)
“La musica è suono nello spazio” per questo compositore che ha condotto un lungo corpo a corpo con gli altri elementi nella composizione delle Albe. La sua concezione del suono come materia più che come melodia fa sì che l’incontro col teatro, con la sua dimensione collettiva e concreta, sia una fusione inscindibile.

Marco Martinelli. La parola è musica (da 1:13:56 a 1:19:10)
Il regista sulla concezione musicale nel linguaggio delle Albe. Diversi sono stati in questi trent’anni gli artisti che hanno collaborato a questo aspetto, da Roberto Barbanti, a El Hadji Niang e altri percussionisti senegalesi, Michele Sambin del Tam Teatromusica, Davide Sacco, i Fratelli Mancuso e Simone Zanchini. Perché nella visione delle Albe, fin dalle origini, la parola pronunciata è musica. Con una specifica sul ruolo del regista nel “combattimento dei draghi” che produce l’alchimia poetica delle Albe, tutt’altro che mediazione o gerarchia.

Gioia Costa. Il respiro della scena (da 1:20:48 a 1:27:50/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:19:11)
Un omaggio alla parola che, detta con Flaubert, “ha la giustezza di una scienza e la mobilità di un uccello” e che nella connessione di arte e vita delle Albe si fa giorno per giorno primavera eretica. La studiosa guarda al mondo Albe, in tutte le sue dimensioni e opposti, rintracciando nella parola il respiro sempre rinnovato della scena.

Massimo Marino. L’ossessione dello sguardo (da 1:38:00 a 1:56:03/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:28:17)
Guidata dal filo dell’ossessione dello sguardo, una riflessione su quella sfida impossibile, cui il critico teatrale si sottopone, di tradurre nella bidimensionalità della pagina la ricchezza evanescente della scena. Il critico bolognese, apre a domande sulla regia nel contesto magmatico delle Albe, citando ora il critico Giuseppe Bartolucci ora il maestro di scena Leo de Berardinis, riferendosi all’ascolto delle diversità di cui il gruppo si è fatto forte sia sul palco che nel lavoro di creazione dello “stabile corsaro”, e nell’opera di contaminazione teatrale sulla città e oltre.

Jean Soldini. La dimensione debordante dell’esistente (da 1:58:11 a 2:33:06/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:56:37)
Della scena come luce del pensiero. Del manifestarsi del vero e del comunicarsi delle cose. Dell’incontenibile vita espressiva dei corpi. Della politica e di ciò che non è possedibile. Dell’andare verso il pensiero dell’indeterminatezza e dell’anonimato. Del ritrovare l’impatto con l’esistente per agire la vita in comune. Il filosofo, educatore, storico dell’arte, poeta, passeggia nella dimensione debordante dell’esistente.

(Era previsto anche un intervento di Gianni Manzella, assente per motivi di salute.)

Ascolto della Canzone dei luoghi comuni (2:37:28/presentazione di Marco Martinelli al minuto 2:33:21 e di Luigi Ceccarelli al minuto 2:36:00)


13 aprile
L'Attore



Marco Martinelli e Ermanna Montanari (da 6:30 a 16:07)
Poli irriducibili della scena Albe sono l’attore e la drammaturgia. Nell’epoca in cui si formava il Teatro delle Albe, trent’anni fa, qualcuno azzardava predizioni sulla scomparsa dell’attore dalla scena. Segnato in gioventù dalla visione del Re Lear di Giorgio Strehler, Martinelli ricorda quanto lo avesse travolto, oltre alla regia, la potenza degli attori, e quanto sia stata chiara da subito in lui e nel suo gruppo la consapevolezza di non poter mai fare a meno di quella fonte.
“Cos’è la calamità dell’attore, e quale la calamita che vi porta a guardarlo? – chiede Ermanna Montanari agli studiosi presenti –. Cosa significa per voi sostare con l’attore?”. Oggetto degli studi di Laura Mariani, che ha pubblicato il volume “Ermanna Montanari. Fare-disfare-rifare nel Teatro delle Albe” (Titivillus, 2012) l’artista confessa l’imbarazzo nel sentirsi svelata, non esistendo un confine chiaro per l’attore tra la vita personale e l’artificio. Quel volume, frutto di un percorso rabdomantico attraverso il pudore e il fuoco, ha segnato un punto nodale nella storia del gruppo.

Laura Mariani. Fare-disfare-rifare nella ricerca storica sull’attore (da 16:08 a 29:22/presentazione di Ermanna Montanari al minuto 9:28)
Si affrontano i nodi attraversati da una storica del teatro intenta a condurre una ricerca sull’arte vivente dell’attore. Autrice del recente volume su Ermanna Montanari Laura Mariani racconta l’origine di quell’indagine, a partire dalla figura dell’attrice come snodo di un sapere teatrale complesso, fatto sì di sperimentazione, ma anche di una precisa pratica intorno al personaggio. Il libro attraversa la biografia e la poetica del gruppo secondo lo sguardo di una spettatrice privilegiata che ne individua la singolarità nel contesto storico del teatro italiano del secondo Novecento. Con un omaggio a Claudio Meldolesi che ha sempre studiato e nutrito il lavoro del Teatro delle Albe (con un intervento di Marco Martinelli su Meldolesi al minuto 29:35).

Dolores Pesce. Un passaggio affine alla morte (da 33:55 a 43:35/presentazione di Marco Martinelli al minuto 31:30)
L’attore come strumento capace di penetrare le oscurità che accompagnano le nostre esistenze; e il teatro come unico luogo in cui è possibile per la collettività condividere un atto di sincerità. La studiosa rintraccia in questo aspetto di svelamento la necessità pulsante dell’arte scenica in una società sempre più dominata dalla menzogna. L’attore-maschera guida lo spettatore in quel rischioso passaggio “affine alla morte” (Vladimir Nabokov), aiutandolo a raggiungere la conoscenza di cui ha bisogno.

Serena Terranova. Sostare con l’attore (da 47:38 a 54:26/presentazione di Ermanna Montanari al minuto 43:50)
La giovane studiosa racconta il suo percorso a stretto contatto con tre attrici (Chiara Lagani, Fiorenza Menni, Ermanna Montanari) in occasione di un progetto fotografico (di Enrico Fedrigoli) che le ha viste muoversi su sfondi extrateatrali. Case, paesi, boschi, treni sono stati lo scenario nel quale il suo sguardo le ha seguite, in funzione di una ricerca silenziosa fatta di osservazione e appunti. Nelle sue parole la vibrazione di un contatto a distanza ravvicinata col mistero dell’attore, dove si tocca quel grumo di coraggio e spudoratezza per il quale lo spettatore-critico dovrà poi costruirsi gli strumenti di testimonianza, intento a raccontare l’esperienza performativa mentre la si sta facendo.

Maria Grazia Gregori. L’attore: presenza e persona (da 54:19 a 1:12:15/postfazione di Marco Martinelli al minuto 1:12:24)
A partire da un legame familiare che l’ha portata a conoscere il teatro fin da bambina, la critica teatrale dell’Unità racconta dell’attore Alessandro Moissi e della sua speciale presenza scenica, di cui si narra una forza magnetica inaudita. Citando poi Giorgio Strehler – in un quadro storico in cui la giornalista si dichiara per formazione e sensibilità molto vicina al teatro di regia – sottolinea quanto la presenza scenica di un attore si affermi già nel modo in cui entra in scena. Riallacciandosi infine al libro di Laura Mariani su Ermanna Montanari, rileva, nella materia particolare dell’attrice, anche la passione per la conoscenza e la profondità della persona.

Renato Palazzi. Caduto al centro (da 1:23:49 a 1:41:41/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:19:15)
“Sono un critico che, a un certo punto, dai margini è caduto al centro del teatro”. E se il centro è l’attore, allora questo è il racconto di un’esplorazione che il critico del Domenicale/Sole 24Ore ha svolto nel cuore dell’arte scenica, calandosi per due volte, in due differenti operazioni sceniche, nei panni dell’attore, pur senza possedere gli strumenti del mestiere. Lo ha vissuto come un atto di restituzione, come un distacco da sé, come un gioco di specchi. Lo racconta come la possibilità di capire più a fondo il senso recondito dei testi e della parola scenica. Con un’ampia divagazione sui mondi letterari e biografici di Guido Gozzano e Thomas Bernhard (sui quali ha lavorato scenicamente), tra affinità e differenze.

Dibattito (da 1:43:59 a 2:11:30/Interludio di Ermanna Montanari da 1:41:50 a 1:43:34)

Su quest’ultimo tema – il parallelo tra Gozzano e Bernhard – si sviluppa una parte del dibattito, per tornare infine sull’attore, sulle difficoltà di trovare un linguaggio per raccontarne l’essenza e la natura, sull’insondabile magma psichico che lo origina, sulla demolizione del corpo che lo attanaglia (interviene, aggiungendosi ai relatori presenti su sollecitazione di Ermanna Montanari, l’attore Marco Cavalcoli).

Il video Rosvita, presentato in anteprima in questa occasione è in uscita prossimamente per Luca Sossella Editore.
(Per ascoltare la presentazione di Marco Martinelli si vada al minuto 2:11:40)



14 aprile
La drammaturgia



Gerardo Guccini. Ogni scrittura è consuntiva (da 08:18 a 26:18/presentazione di Marco Martinelli al minuto 6:53)
Come introduzione all’incontro dedicato al nodo della drammaturgia, lo studioso sintetizza “la storia dell’emarginazione del testuale nel teatro italiano”. Lo fa ricostruendo le dinamiche precedenti e successive allo storico Convegno di Ivrea del 1967, secondo una pista che parte dalla rivista “Sipario” quando negli anni Sessanta Valentino Bompiani ne era direttore e Franco Quadri redattore, anni in cui si assiste a un’intensa azione di stimolo per la produzione drammaturgica italiana. Segue il racconto della spaccatura generazionale e culturale creatasi appunto a Ivrea, quando ha inizio per il nostro teatro un quadro di valorizzazione di tutti gli elementi teatrali, legato a una nuova consapevolezza e presa di posizione della critica. Ma quello che lo studioso tiene a sottolineare, come contributo specifico a un discorso sul testo scenico – anche in relazione alla drammaturgia delle Albe, e non senza citare gli studi di Hans-Thies Lehmann sul teatro postdrammatico, prima, e sulla tragedia postdrammatica, poi – è l’aspetto consuntivo di ogni scrittura. “Lo spettacolo vero, necessario, viene prima – afferma il docente – in ciò che consente alla scrittura di esistere”. Di come dunque la dimensione vivente e concreta del teatro sia rintracciabile nella forma drammatica. E di come il testo drammatico sia insieme manifestazione e risultante del teatrale.

Luigi Dadina. Pantani: il labile confine tra follia e autodistruzione (da 30:10 a 36:23/presentazione di Marco Martinelli al minuto 26:35)
Nelle parole di uno dei fondatori delle Albe, attore impegnato e passionario, emerge l’origine dello sguardo del gruppo sulla figura di Marco Pantani, nata da una fascinazione per quel campione folle, emblema di una determinazione e di una genialità dalle conseguenze estreme. L’indagine avviata da Dadina, e confluita infine nella scrittura incarnata di Marco Martinelli, ha anche attraversato un processo creativo con Renata Molinari che portò a indagare in parallelo la figura di un altro romagnolo incline agli eccessi come Giovanni Pascoli. “Dov’è il limite tra l’assoluta vitalità e l’autodistruzione?” si chiede Dadina, mentre ricorda, riferendosi al trentennale delle Albe, quanto sia importante per la durata di un gruppo mantenersi anche un po’ “stranieri” per portare in condivisione contributi sempre nuovi.

Renata Molinari. La drammaturgia dell’esperienza (da 40:10 a 1:01:09/presentazione di Marco Martinelli al minuto 36:38)
La prima dramaturg del teatro italiano, autrice con Claudio Meldolesi di un libro fondamentale sulle coordinate e l’evoluzione di questa funzione trasversale e cangiante, giovanissima cofondatrice del Crt di Milano negli anni Settanta, Renata Molinari pone l’accento sulle modalità di lettura di un testo teatrale e su quanto esso prenda luci diverse in base alle diverse domande con le quali lo si attraversa. Forte di un’esperienza che l’ha vista affiancarsi a molti maestri (Franco Quadri, Sisto Dalla Palma, ma anche Ettore Capriolo, sul piano della teoria e della critica; e Thierry Salmon, I Magazzini, Jerzy Grotowski, tra gli altri, sul piano della pratica artistica) la dramaturg insiste sull’importanza del processo e del laboratorio, approdando alla creazione del concetto di “drammaturgia dell’esperienza”.

Andrea Porcheddu. Martinelli e la didascalia vivente (da 1:05:04 a 1:19:42/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:01:22)
È sulla componente drammaturgica della didascalia che si sofferma il critico teatrale romano osservando una certa indole brechtiana di alcuni testi di Marco Martinelli, dove le didascalie sono corpo poetico. Non finalizzate a dare istruzioni o informazioni aggiuntive, ma nemmeno a essere commento o insegnamento, queste note al margine dei dialoghi e dei personaggi seguono, constatano, partecipano, vedono ciò che accade in scena rivelando l’autore come soggetto attivo, al presente. Porcheddu dà di questo fenomeno – e della modalità di Martinelli di stare sempre in una relazione dinamica e non dispotica con i propri lavori – una lettura politica, tracciando anche un parallelo con la presenza scenica di Tadeusz Kantor, un legame con l’eredità di Leo de Berardinis, e rilevando l’unicità dell’azione costante e lucida che l’autore, regista, maestro, svolge col suo gruppo sulla polis come coscienza critica e incubazione di estetiche.

Claudia Cannella. Lo sport, l’Africa e Jarry, per un teatro politico (da 1:24:33 a 1:39:23/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:19:57)
Da Incantati a Pantani, da Jarry ad Aristofane, da Schwab a Tarantino a Molière, il segno teatrale delle Albe – tra testi originali e riscritture – ingloba diversi nodi e mondi che declinano un’unica tensione politica. Su questo si sofferma la direttrice della rivista teatrale “Hystrio” guardando all’opera del gruppo come a un macrotesto e raccogliendo i riferimenti e le costanti tematiche come se ogni spettacolo costituisse un passaggio di testimone del medesimo discorso. Un teatro che si può definire in qualche modo brechtiano, afferma la critica, nell’atto del porre e dello sviscerare un problema, che però, a differenza di Brecht, Martinelli e le Albe lasciano volutamente aperto.

Graziano Graziani. La parola è il testimone (da 1:42:35 a 2:04:43/presentazione di Marco Martinelli al minuto 1:39:35)
La drammaturgia come l’unico elemento teatrale che non si esaurisce nel qui e ora, che non si consuma completamente con la messa in scena, bensì resta, e dunque tramanda e testimonia. “La parola è il testimone che interroga le generazioni a venire” afferma il giovane critico teatrale che con la rivista a cui partecipa ("Quaderni del Teatro di Roma") ha svolto un’indagine sulla drammaturgia italiana dal secondo Novecento constatando l’esistenza di moltissimi autori e rilevando però anche la loro assenza dalle scene del circuito nazionale. Quanto allo specifico delle Albe, Graziani segue il filo politico, e non ideologico, che sottende i diversi lavori della compagnia e che egli rintraccia nel continuo interrogare il presente – anche quando si affrontano testi altrui – ma anche nell’atto salvifico di creare un’arte di ricerca che sia al contempo un’arte popolare.

Franco Nasi. Sulla poetica dell’auscultazione (da 2:07:29 a /presentazione di Marco Martinelli al minuto 2:05:22)
Teorico della traduzione e traduttore a sua volta, Franco Nasi traccia tre coordinate attraverso le quali misurare la poetica delle Albe. Da una parte l’onda obliqua dei “testi corrotti”, che vedono Martinelli produrre sempre nuovi originali anche quando lavora sui classici; dall’altra l’affondo verticale, “speleologico”, nel corpo e nella voce compiuto dagli attori; e infine la direttrice orizzontale da “scorribanda”, che è l’enorme lavoro nella polis e nel mondo, con la non-scuola e non solo. Tutto questo, ci dice Nasi, è frutto di una “auscultazione”, che trova nelle orecchie di Pinocchio (allestito in questi giorni dalla non-scuola ravennate) l’immagine-cardine di un’auspicata e coltivata trasformazione generazionale.