Teatro delle Albe

detto Molière


detto

di Marco Martinelli 
ideazione Marco Martinelli e Ermanna Montanari 

con Alessandro Argnani, Roberto Corradino, Jean-Claude Derudder, Lindsay Ginepri, Roberto Magnani, Kingsley N’Gadiuba, Mélissa Pire, Guido Ravaioli, Lorenzo Soleri, Viviane Thiébaud, Guillaume Verstraete e 20 adolescenti di Ravenna e con gli allievi del Conservatoire Royal de Mons: Aubeline Barbieux, Christophe Canu, Laure Cecilio, Mathilde Goeris, Sophie Guisset, Lionel Liégeois, Mathieu Moro, Anaïs Pellin, Jonathan Robert, Mélodie Valemberg, Marie Vanrossomme 

regia Marco Martinelli 

produzione le manège.mons/Centre Dramatique, Teatro delle Albe-Ravenna Teatro, La Rose de Vents Scène Nationale Lille Métropole, la Maison de la Culture de Tournai in collaborazione con Conservatoire Royal et Centre des Arts scéniques di Mons 

Che cos'è il teatro oggi per un bambino? Anticaglia? Può lo sguardo di un bambino appassionarsi al teatro oggi, come ci si appassionava Jean-Baptiste Poquelin (detto Molière) nella prima metà del Seicento, quando il nonno materno lo prendeva per mano e lo portava nei teatri di Parigi?” Così Marco Martinelli e Ermanna Montanari presentano detto Molière, spettacolo dal tratto corale – parte di un dittico di cui fa parte L’Avaro visto lo scorso anno – frutto di una coproduzione franco-belga che vede in scena, insieme ad alcuni componenti delle Albe, una “tribù” di quaranta persone, tra attori professionisti e non, musicisti e adolescenti: uno spettacolo inusuale, una vera e propria festa che coinvolge il teatro e la città, sulla cresta di molte domande: “Fin dove arriva il teatro oggi? Riesce ancora a fare a pezzi il mondo per svelarne l’intima fragilità? Ma soprattutto, è in grado di farlo con la vitalità gioiosa di allora, quando un'intera società, vecchi e bambini, poteva ridere dei potenti e sognare insieme attorno al palcoscenico?”. Questa è la sfida del detto Molière, un Molière che lotta, che fa wrestling, per un corto circuito tra gli antichi maestri del comico e il fantasma di quella sfuggente e patetica e sempreviva felicità.

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