Spettacolo

All'inferno!

Affresco da Aristofane

6 (foto Di Giacomo Gorini)2

l'opera

ALL’INFERNO!

Ho pensato e vissuto questo lavoro come un sogno: un delicato affresco di storie terribili. A me piace raccontarlo così, Aristofane, lui e le sue narrazioni strampalate e furibonde: con levità. La storia ispirata al Pluto fa da cornice, struttura, arco drammaturgico, attraversato dalle altre commedie che ho tagliato, riscritto, reinventato, sbriciolato in frammenti: la storia dei due contadini africani che scendono all'inferno in compagnia di un magico asino parlante per trovare il dio dell'oro accoglie in sé la figura in ginocchio di uno Strepsiade padano, i Cavalieri anglo-pugliesi sul calcinculo-patibolo, una Lisistrata di gesso. Luci e musiche e il quadro rosso-Sambin su cui gli attori poggiano i piedi, le "diverse lingue" in cui siamo immersi, il gioco dei corpi che costruisce a sua volta il suo muto racconto: questa rete di segni è il gioco infero del teatro, il nostro parlare con l'antenato totem e la sua opera scintillante.

Marco Martinelli

Aristofane antenato totem

  1. Al chilometro 197 della Statale 16, c'è il Giardino di Rimini: manufatti in cemento. Dentro ci sono tante veneri bianche, david e discoboli, biancaneve e i sette nani. Lungo la strada stazioni di servizio, benzinai e autogrill, prostitute africane e parchi dei divertimenti, laghi artificiali. Eccola, Atene: sull'Adriatica.
  2. Sono partito da lì: da Dioniso che scende agli inferi con il suo servo Xantia, e con un asinello. Tale è l'incipit delle Rane: il dio clown, il dio cialtrone che va, tra i morti, per salvare la città. Il dio cialtrone è in Aristofane un dio salvatore, il comico sa la necessità della tragedia: non ci sono più grandi autori di tragedie tra i viventi, i migliori sono morti, allora Dioniso scende nel basso mondo per recuperarne almeno uno, che possa portare luce alla città.
    Potenza del teatro: luce e consiglio alla città.
  3. Questo volevo: scendere agli inferi. Ridendo. Se leggete le Rane lasciando risuonare le battute di Dioniso e Xantia, dentro di voi, e ascoltandole con le voci di Totò e Peppino, tutto magicamente prende vita. Aristofane è l'antenato totem della commedia, è il mio antenato totem. Un vecchio di famiglia. Manda i clown all'inferno, o tra gli uccelli a fondare città senza leggi, o in cielo a liberare la Pace o nell'Assemblea a irridere i politici corrotti: la sua commedia non è reclusa in casa, borghesuccia, tra storie private. E' cattiva e appassionata, ubriaca e religiosa. In tutti questi anni, da Ruh. Romagna più Africa uguale a Siamo asini o pedanti? a I Refrattari, ho drizzato le orecchie per ascoltare l'antenato, ho creduto in storie in cui il cielo e gli inferi e la tensione alla Pace non fossero letteratura.
  4. Aristofane è un fedele di Dioniso, un "tecnico" di Dioniso. Dioniso è il dio della vita “indistruttibile" (Kereny), colui che prima di Cristo viene divorato dai suoi, muore e risorge.
  5. Sono partito da lì: da Cremilo e Carione, poveri contadini ateniesi, "che faticano duramente nei campi". Si chiedono: perché ai giusti, a chi lavora dalla mattina alla sera, solo miseria, e le ricchezze ai malvagi, ai corrotti, ai mafiosi? Scoprono che Pluto, il dio dell'oro, è cieco: per questo le ricchezze sono mal distribuite! Bisogna guarirlo. Ridistribuire il danaro sulla terra, rendere un servizio all'umanità. Gli eroi di Aristofane hanno sempre delle idee strampalate.
  6. C'è un mito peul, presente in tutta l'Africa occidentale: Kaidara, il dio dell'oro, sta sottoterra. All'inferno. Per andare a prenderlo, occorre un viaggio lungo e tormentato. Un cammino iniziatico: Kaidara è "il lontano e il vicinissimo". L'oro materiale è il primo passo verso l'oro spirituale, la conoscenza. Pluto a sua volta non è che uno dei nomi di Ade: anche per i greci, il dio dell'oro sta all'inferno. Tra i morti. Legando Grecia e Africa, contaminando l'idea della discesa agli inferi (Rane) e quella della ridistribuzione della ricchezza (Pluto), ha cominciato a prendere corpo questo affresco da Aristofane.
  7. A Diol Kadd i contadini non hanno il trattore: "faticano duramente nei campi" armati solo di zappe e vanghe. Non c'è acqua nel pozzo, e il deserto avanza. I contadini possono lavorare i campi solo nei mesi delle piogge: negli altri mesi si disperano.
    E' inevitabile: e i giovani emigrano. I politici arrivano dalla capitale ogni cinque anni, quando ci sono le elezioni: portano un po' di zucchero, promettono che faranno il pozzo nuovo, oppure che costruiranno un condotto per prendere l'acqua dal villaggio vicino. Promettono e se ne vanno. Nessuno gli crede: si porta lo zucchero nella capanna, e si pensa al futuro. Che fare? Emigrare. Non c'è alternativa. A Diol Kadd, nel cuore del Senegal, si può solo lavorare la terra, e se la terra è mangiata dal deserto, non restano altre possibilità. Emigrare nella banlieu di Dakar, a Pikine, Guediawaye, Thiaroye. Arrivati lì, si scopre che anche lì non c'è lavoro, che si è un soldatino in più nell'esercito dei disoccupati. Che fare?
    Emigrare, se si può. Emigrare ancora, in Europa, in America. Là dove vive Pluto, Kaidara, dio dell'oro e degli inferi.
  8. Cremilo e Cariane sono diventati Moussa e Dara, poveri contadini africani. Come i loro antenati greci, vanno dall'oracolo-stregone per sapere se devono educare i figli al Male, visto che solo questo ti fa arricchire nella vita: l'oracolo, stregone indica loro di "guardare sottoterra". Forse vuol dirmi di andare sottoterra, pensa Moussa, là dove stanno non solo i morti, ma anche il dio dell'oro. Per trovare la strada, Moussa porta con sé Farì, l'asina, perché l'asina conosce cose che l'uomo non conosce. Nel tradurre i nomi dei due contadini, ho cercato di conservarne il senso e l'origine. Cremilo, da cremetizo, "nitrisco, faccio chiasso, brontolo": le cose non gli stanno bene così come stanno, vuole cambiarle, vuole salvare l'umanità, non vuole solo arricchirsi, vuole arricchire tutti: è diventato Moussa, Mosè, il salvatore del suo popolo (è tale anche per i musulmani, che ritengono l'Antico Testamento un libro sacro). Carione, il servitore, radice kar, "cosa da nulla", "la briciola", "un nulla", è diventato Dara: "niente", in wolof.
  9. «Permettete, spettatori, che un pezzente parli agli ateniesi della loro città, stando dentro una commedia. Buffonate? Anche le buffonate sanno la verità.» (Acarnesi)
  10. Aristofane è un adolescente infuriato. Scrive la prima commedia a diciassette, diciotto anni: è infuriato contro la guerra che devasta Atene, contro la miseria che cresce nei cervelli prima che nelle case. Il primo verso che ci resta del suo teatro è: «Quante cose mi mordono il cuore!». E' il verso di un grande lirico, Coleridge o Baudelaire. Lo mette in bocca a un vecchio contadino.
  11. Moussa e Dara oltrepassano la porta degli inferi: si ritrovano in un autogrill. Un grill speciale, all'avanguardia: non solo panini, sigarette, giornali, ma anche storielle, divertimento, boxe. Mille porte per entrare, difficile trovare l'uscita. Cercano il dio, ma vengono assunti come inservienti. Vengono accolti da una Pia signora, che rivela loro il massacrante, irreale programma di lavoro: dalle sette di mattina alle sette della mattina dopo, senza interruzioni. Non si dorme, non si mangia. Dara s'infuria con Moussa: l'ha trascinato fin lì con il miraggio della ricchezza, di una vita senza più lavoro, e invece! «Non te la prendere, Dara, sussurra la Pia signora: la notte è lunga, e voi avete ancora qualche ora di libertà e per passare il tempo potrei raccontarvi qualche storiella». La Pia signora diventa narratrice: Moussa, Dara e Farì cadono in un affresco di storie, e sono le storie di Aristofane fatte a pezzi: i fantocci-Cavalieri, una Lisistrata di gesso, il contadino Strepsiade. Moussa e Dara sono l'ultima ruota del carro, insieme a un tal Maccaniro, lavacessi, un cieco, contento che finalmente qualcuno sia arrivato a dargli una mano. Dara, rassegnato a non trovare il dio dell'oro, pensa a cosa portarsi di sopra: scrive il suo nome sul didietro di una venere di cemento, al momento giusto se ne tornerà a Diol Kadd con lei. Ma all'alba, prima di cominciare il lavoro infernale, avverrà qualcosa che a sorpresa muterà l'apparentemente immutabile corso delle cose.
  12. Fare a pezzi Aristofane, divorarlo, vomitarlo fuori. Lisistrata è un fantasma di gesso. E' sola. Delira. E' ancora convinta di salvare il mondo. I Cavalieri, pescivendole baresi che hanno studiato l'inglese e il marketing, la democrazia come scienza delle salsicce, un calcinculo-patibolo come una gabbia dalla quale i politici arroganti non possono evadere, burattini in baracca, si aggrediscono, si picchiano, si lisciano, esibiscono i corpi fantocci. Strepsiade, uno che viene dalla campagna, si lancia a imparare le diavolerie insegnate dai "nuovi filosofi", l'Etere onnipotente e i concetti immateriali e le realtà virtuali e cose simili, il linguaggio che abbandona la terra per non tornare più, e tutto questo lo fa per Vincere cause ingiuste ai processi e non pagare i creditori. Quando il figlio lo percuoterà a sangue in nome della "nuova filosofia", Strepsiade capirà di avere sbagliato, e darà fuoco, un fuoco vero, non una realtà virtuale, al pensatoio dei filosofi.
  13. E' evidente: il coro, all'inferno, non c'è.
  14. «Essere profondi e sembrare profondi. Chi si sa profondo, si sforza d'esser chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine, si sforza d'essere oscuro. La moltitudine infatti prende per profondo tutto quello di cui non può vedere il fondo: è così timorosa e va in acqua così a malincuore.» Nietzsche, La gaia scienza, libro terzo, 173.
  15. «Ade e Dioniso sono lo stesso», dice Eraclito nel frammento 15. Dio dei morti e dio della vita "indistruttibile", siete la stessa cosa: solo la superficie inganna.
  16. Parentesi geografica. Da più di due anni, Teatro Kismet OperA di Bari e Ravenna Teatro si sono incontrati per lavorare su Aristofane. Negli ultimi mesi ci si è aggiunto anche il Tam teatromusica di Padova, con il quale nel '93 avevamo reiventato un canovaccio di Goldoni, centrato sugli infortuni di Mor Arlecchino. Questo essere non solo tre gruppi, ma, in un qualche modo, in un qualche strano e misterioso e inspiegabile modo, tre città, mi piace.
  17. Con gli attori del Kismet ho realizzato nell’estate del '94 una riscrittura degli Uccelli a Cisternino, nella Val d'ltria, in mezzo agli alberi e ai trulli. In una settimana, per gioco. Si viveva nei trulli, e io modificavo, tagliavo, reinventavo le battute del testo, facendole divorare e masticare e risputare ad Augusto, Lucia, Enzo, Monica e compagni. Il gioco è andato in scena, al tramonto, su un cerchio di pietra, davanti ai contadini, famiglie con grandi e piccoli, cani, qualche amico venuto da Bari. A Cisternino si pisciava sotto la luna, non c'erano luce elettrica e televisione, l'acqua la si prendeva dal pozzo. Dal cerchio di pietra in mezzo alla campagna, spazio simbolico forte, origine universale del teatro, sono arrivato all'autogrill, non-luogo della anonima modernità. Soffrendo. Perché sulla graticola (grill), la carne soffre.
  18. «E' il pensato io delle anime sapienti. Ci sta dentro gente capace di persuaderti con la parola che il cielo è un forno, e noi ne siamo i carboni.» (Nuvole)
  19. Che non sia, la scena, la riproduzione naturalistica di un autogrill. Orrore! Ma un luogo psichico, con colori psichici. Partire dai disegni di Sambin, dalle luci di Vincent. Approfittare dello sguardo obliquo di Ermanna.
  20. «Per parlare senza mezzi termini: il mondo infero è psiche.» Il grande Hillman ci mette qualche centinaio di pagine deliziose e inquiete per farci pensare ai "sogni" come realtà "infere": e che cosa è il sogno di Cremilo e Carione, di Moussa e di Dara, il sogno di una ricchezza per tutti, se non uno "sprofondamento"?
  21. Le parole escono dalla bocca, e appena uscite eccole ingarbugliarsi, aggrovigliarsi. Prima il mondo, l'Adriatica, poi la psiche, i sogni. Come è possibile racchiuderli entrambi nello specchio della scena? Come è possibile che entrambi, insieme, invadano lo spazio della scena? E' questo il teatro, questo garbuglio? Quell'osteria descritta da Bruno nel Candelaio, dove «concorsero molti, de quali altri pigliandosi spasso altri rattristandosi, altri piangendo altri ridendo, questi consigliando quelli sperando, altri facendo un viso altri un altro, altri questo linguaggio ed altri quello: era veder insieme comedia e tragedia, e chi sonava a gloria e chi a mortoro. Di sorte che, chi volesse vedere come sta fatto il mondo, derebbe desiderare d'esservi stato presente?» Perché non riesco a rinunciare, nel costruire un testo, nel raccontare una storia, alla lettura dei quotidiani così come alla musica della poesia? Perché la mia sinistra vuol sapere quanti disoccupati ci sono in Senegal e la mia destra si appassiona ai misteri animisti? Perché sento il ridere come musica del corpo, perché la via comica parte e mi conduce al tragico? Perché il tragico è spiazzato dal comico, come da uno squillo di tromba?
    Perché credo ancora nel teatro, perché resto ancora legato all'albero del teatro, alla povera carne dell'attore, nonostante le sirene delle realtà virtuali, la smaterializzazione del mondo, il dominio dell'immagine, il bla bla bla delle nuove diavolerie? Perché credo in un uso eretico della, Tradizione? Perché sono un reazionario? Perché mi commuovo nell'ascoltare le oscenità di Aristofane sulle bocche degli adolescenti del Liceo e degli Istituti Tecnici, con i quali reinvento i suoi testi?
  22. «Bisogna comprendere una verità di grado inferiore prima di poter comprendere quella di grado superiore. Bisogna comprendere Euripide prima di poter comprendere Aristofane. Tuttavia per comprendere la natura del letame dal punto di vista chimico, spirituale e materiale, si deve prima comprendere la struttura spirituale, chimica e materiale della rosa che da questo nasce. Euripide è una rosa bianca, lirica, femminile, uno spirito. Aristofane è un satiro. Il satiro ha più valore della rosa bianca cui è avvinto? La terra ha più valore della rosa bianca che fa spuntare? Il letame ha più valore della rosa?»
    H.D. (Hilda Doolittle), Note sul pensiero e la visione, 1916. Sta in "Lapis", giugno 1995.
  23. L'Ade è “casa sonora”, racconta Esiodo. L'entrata agli inferi è l'entrata in un edificio di suoni, una lunga discesa in cui si è accompagnati dai tamburi e dalle bacchette di legno.
    Al centro Has, unico visibile in mezzo alle ombre, una ghirlanda di edera in capo, a torso nudo, il tama sotto l'ascella, Dioniso nero che ruggendo ci sposta altrove. Dioniso è lì, in quel corpo ruggente, abitato. La musica è il basamento invisibile. E allo stesso modo c'è anche una musica delle lingue che forma questa casa, una musica delle "diverse lingue" (Dante, Inferno, III, 25), dei dialetti che ogni attore porta in dote, musica della nuova polis che è diventato il mondo: lavorare sui dialetti per esprimerne la carica vitale, sensuale, dionisiaca. Lingue di terra. Il corpo dell'attore è un corpo-lingua, esprime la sua diversa, specifica carica erotica: la scena è un luogo che resiste all'appiattimento, che salva la varietà delle specie, che esalta l'infinita, torbida varietà del mondo.
  24. Dai tempi di Siamo asini o pedanti? (1989), l'asinità è un connotato psichico cui ci teniamo ben stretti. Un'ombra luminosa. Cretina. Splende al suo interno la filosofia del Nolano, il raglio dell'asino cillenico, l'asino caro al dio Ermes. Mandiaye mi racconta che l'asino sa cose che il padrone non sa. Che durante la notte non va cavalcato, è pericoloso. Che certe piogge gli asini non le tollerano, altre sì. L'asina Farì è un'asinella magica, ventriloqua, accompagna il suo nuovo padrone alle porte degll'inferno-autogrill, in seguito riapparirà, scomparirà, parlando mille lingue, e alla fine rivelerà la propria natura allegorica. Nelle Rane, lo schiavo di Dioniso dice al padrone che gli pone un fardello sulle spalle: «e io sono l'asino che porta i misteri». Farì è una cerniera di ombra e di luce, come tutti i misteri. Ermanna mi racconta che il nonno Renzo parlava con la somarina bianca: a Campiano la gente diceva che Renzo preferiva gli animali agli uomini.
  25. «Tìs alI in pieces, all coherence gone.» John Donne, Anatomy of me world, 1611.
  26. Non temere l'impurità degli stili, come delle lingue. La comicità furiosa dei Cavalieri e la visionarietà di Lisistrata, l'umore terragno di Gigio-Strepsiade e le sospensioni della Pia narratrice, la boxe di Moussa e il nascondersi di Pluto-Kaidara: il reale, il fantastico e l'allegorico. Non temere di mescolare: anche Aristofane lo faceva.
  27. Spazio e cibo. Per scendere nello spazio infero si mangia: come recita la tradizione, una focaccia al miele. Ma anche là di sotto si mangia: le ombre hanno fame, come gli spettatori.
  28. Il teatro un'arte antica? Se la terra brucerà tra sei miliardi di anni, la nostra storia è solo all'inizio. Il teatro è un'arte bambina...
    Stiamo abitando una fine che è un inizio. Una fine-inizio, un ossimoro. Stiamo abitando un ossimoro.

Marco Martinelli
Ravenna-Bari-Cistemino-Creta-Patmos-Guediawaye-Diol Kadd,
maggio 1994-maggio 1996

P.S. Un ringraziamento a Paolo Ambrosino: è lui che per primo ha voluto l'incontro tra il Kismet e le Albe. Che gli piaccia o no, questo lavoro è anche "colpa" sua.

crediti

di Marco Martinelli

in scena Monica Contini, Luigi Dadina, Mirela Lico, Augusto Masiello, Robert Mc Neer, Ermanna Montanari, Mandiaye N’Diaye, El Hadji Niang, Mor Awa Niang, Michele Sambin, Enzo Toma, Pia Wachter, Lucia Zotti

musiche Mirela Liço, El Hadiy Niang, Michele Sambin

collaborazione drammaturgica Ermanna Montanari

progetto luci Vincent Longuemare

scene e costumi Michele Sambin

luci e suono Francesco Catacchio, Giacomo Gorini, Enrico Isola

assistenza scena e costumi Stefano Cortesi

assistenza alla regia Teresa Ludovico, Mandiaye N’Diaye

organizzazione Diane Guerrier, Michele Longo, Marcella Nonni, con la collaborazione di Natalia di Iorio-Associazione Cadmo

regia Marco Martinelli

produzione Ravenna Festival, Teatro Kismet Opera, Teatro delle Albe, Tam Teatromusica, Ravenna Teatro.

Prima nazionale: Ravenna, Magazzino dello Zolfo alla Darsena di Città, 29 giugno 1996

Come ve lo devo dire? Non ci sono ore non ci sono minuti, come ve lo devo dire? Correte, correte forte fino a che avete fiato, che verrà un giorno che non correrete più, sarete come morti, rigidi nella tomba, e avrete solo l'ultimo fiato cattivo tra i denti. Fate presto... fate presto...
5 (foto Di Maurizio Montanari)

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