l'opera
Caro spettatore con Bonifica abbiamo lavorato alla nostra idea di Romagna. Ci sono tante Romagne: c'è quella di Fellini, quella di Tonino Guerra, ce ne sono tante altre. Da qualche anno c'è anche la nostra, ieri quella "africana" di Ruh e Asini, oggi quella "arteriosa" di Bonifica. Noi amiamo la nostra terra: la viviamo sanguigna e sentimentale come la descriveva Pasolini, con un'etica sacra del lavoro e della solidarietà quale viene fuori ne La Broja di Bruno Gondoni, forse il maggior autore di teatro dialettale romagnolo. Ma vediamo anche in essa un fondo di follia, di accecamento rispetto alla drammatica condizione in cui versano il Pianeta e le creature.
Le parole sono armi a doppio taglio: variano nella e dalla Storia acquistano nuovi significati e sfumature. Pensiamo alla parola "bonifica": deriva dal latino, "bonum facere", rendere buona e coltivabile una terra che non lo è. Per secoli i nostri contadini, spinti dalla fame, hanno bonificato paludi e boschi, facendo "luce" là dove prima era "buio", rendendo "civile" lo spazio abitato dal caos e dalla natura. Oggi questa parola assume un significato ambiguo e terribile: oggi i "bonificatori", quelli che radono al suolo le foreste per impiantare pascoli da hamburger, quelli che cementificano le coste, quelli che abbattono le montagne, oggi i "bonificatori" portano avanti la luce accecante di una civiltà che distrugge le radici biologiche dell'esistenza (al fine di rendere tutto "produttivo"). Pensiamo anche alle parole "progresso", "conservazione": vanno ripensate radicalmente, quando spesso l'atteggiamento rivoluzionario sta oggi nel "fermarsi", nel non-agire, quando spesso progredire vuol dire oggi solo devastare.
Non vogliamo farla troppo lunga, il lavoro parlerà da sè.
Due appunti per concludere.
- Bonifica rovescia un archetipo presente nella cultura occidentale, quello del cavaliere buono e del drago cattivo. Questo mito ricorre anche in culture lontane dalla nostra spesso però con un ribaltamento del senso: il drago rappresenta le forze oscure della natura, forze che non bisogna uccidere, forze con cui semmai il cavaliere si deve alleare. In questa direzione va il nostro modo di rileggere il mito, contro la tradizione occidentale dominante.
- Come ha detto qualcuno, "non si abita un paese, si abita una lingua". Questo lavoro etnico delle Albe bianche mescola dialetto e italiano, lingua materna e lingua della scuola, radicalizza il bilinguismo presente nei lavori precedenti.
Per la miglior comprensione dell'opera, offriamo la traduzione di alcune parole-chiave dialettali che attraversano lo spettacolo, sapendo che il nostro pubblico non sarà composto da soli "indigeni".
Un abbraccio politttttttico, Albe.
crediti
di Marco Martinelli
in scena Luigi Dadina (Arterio), Ermanna Montanari (Daura)
scene e costumi Cosetta Gardini, Ermanna Montanari
luci, suono: Marco Martinelli
organizzazione Marcella Nonni, Cristina Ventrucci
regia Marco Martinelli
produzione Teatro delle Albe, Santarcangelo dei Teatri d’Europa in collaborazione con il Comune di Bagnacavallo.
Il testo è contenuto nel volume Bonifica, polittico in sette quadri, di Marco Martinelli, Essegi, Ravenna, 1991 e nel volume Teatro impuro, di Marco Martinelli, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 1997.
Prima nazionale: Bagnacavallo, Teatro Goldoni, 21 dicembre 1989
Sì, mio diletto, il miracolo si rinnova perché in queste nozze del drago col deserto l'acqua si tramuta in vino, del più buono, e che quelli che verranno e ne berranno lo troveranno ottimo. Il deserto si riempirà di ubriachi che ballano... ballano... ballano... felici come zàcul.