l'opera
Atene-dei-divertimenti
La nostra visione del Sogno è quella di un unico, lungo incubo. Qualcosa che precipita. Un luogo imprendibile, in cui perdersi. In cui Atene trascolora nel bosco: non c'è la separazione luce-buio, giorno-notte, che è centrale nel testo shakespeariano, perché la nostra Atene-dei-divertimenti è piena di ombre, di trappole, perché il bosco si presenta sfavillante. Come il cadavere (o sta solo dormendo?) del Duca, si passa da un mondo all'altro attraversando una cortina di perline nere, e ridenti alberelli ci osservano.
Questo lavoro "parte" dal Sogno di Shakespeare per elaborare una visione scenica sul sogno tout court, sulla natura del sognare. Al centro di questo sogno che, come tutti i sogni, non può avere centro, ci sono Oberon e Titania: entrambe ombre delle già ombre Teseo e Ippolita (è un Duca quel manichino? E' una Duchessa quella sirena imbalsamata?), cannibali che si cibano dei precedenti (l'uno spoglia Teseo, l'altra sveste o scuoia Ippolita... o forse sono la stessa persona? Come si fa a sapere? Già, appunto, ma anche nei sogni, come si fa, quando parliamo con qualcuno che ci sembra un altro e ha la faccia di un altro ancora?).
Questo lavoro è dunque un'interrogazione sull'invisibile, su come si manifesta.
Stiamo ancora su Oberon e Titania. Il nostro Oberon è distante da quello shakespeariano, quindi ironico, in questa che non è una regia ma una dichiarata "riscrittura". I sogni non hanno regista, né padrone, né Duca che li possa comandare: noi puniamo Oberon della sua pretesa di essere il regista della notte, lui che vuol punire gli altri (Titania e Demetrio), lui che vuole imporre la sua legge al sogno. Infatti: Titania resta abbracciata a Sfondo, Puck obbedisce ma sempre in ritardo, gli spiritelli lo prendono in giro e lo dileggiano. Oberon è ridicolo, impacciato. E' fondata sull'impaccio, e non solo di Oberon, questa riscrittura! Su un ridicolo-risibile, su una Parola svuotata, ripetuta, tritata, come le sentimentali frasi di Shakespeare nei biglietti dei cioccolatini, su Padri che non ci sono, latitano. E Oberon ci intenerisce solo alla fine quando si porta via, in un volo che è un trascinamento, in un combattimento che svela un attaccamento, la sua scriteriata sposa.
Ecco appunto, Titania, la scriteriata, la svitata, la non inquadrabile. Denuncia i mali del mondo e poi vuol fare festa; vuol fare festa, vuol smetterla con le liti, ma il ragazzetto indiano a Oberon non lo cede neanche morta (è già morta...); scaccia le bestie dal suo letto e poi si innamora di un asino; usa una lingua arcaica e veste di perline sbarluccicanti e "false"; e via di questo passo. E' fatta della natura contraddittoria dei sogni, più del suo "registico" sposo.
Si è tutti in un Atene-dei-divertimenti? O in un allegro obitorio? Dove siamo? Lo spaesamento davanti ai sogni non lo possiamo evitare, ricondurre alle ragioni del giorno. Restano come enigmi, e ci interrogano, ci fanno percepire un sottile senso di perdita. Si perdevano i paladini dei poemi nelle foreste incantate, si perdono nel bosco gli amanti e gli attori-meccanici, e tutti noi ci perdiamo, incapaci di distinguere, tra le ombre, quel che pare evidente alla luce diurna. Questo nostro Sogno a noi sembra intimo e politico insieme, perché in un mondo in cui tutti vendono sogni a buon mercato (Duchi, politici, pubblicitari, amanti...), questo Sogno è uno svuotamento, come lo è l'atto creativo, che ti lascia senza vita per crearne un'altra.
Chi sogna chi, in questa Atene-dei-divertimenti, dove il reticolato sul pavimento e i marchi sui cubi sembrano alludere a percorsi obbligati? Sono gli amanti che sognano se stessi? E' il Duca che sogna la sua ombra, o è Oberon che si riprende i vestiti prestati a Teseo per il giorno? Ippolita è Titania, o è il contrario, o solo si assomigliano? E Puck, e gli spiritelli neri? E Sfondo? Così abbiamo tradotto Bottom ("fondo", appunto): il sogno è uno sfondamento, un andar giù, come la nostra riscrittura, agli inferi. Il sogno di Sfondo non può avere, non ha, come dice lo stesso meccanico all'uscita dal bosco, "fondo".
Marco Martinelli e Ermanna Montanari
Ravenna, giugno 2002
crediti
di Marco Martinelli
in scena Ermanna Montanari (Ippolita e Titania), Mandiaye N’Diaye (Oberon), Luigi Dadina (Teseo), Roberto Magnani (Puck), Maurizio Lupinelli (Sfondo-Bottom), Francesco Antonelli, Alessandro Argnani, Luca Fagioli, Massimiliano Rassu, Alessandro Renda (i meccanici), Michele Bandini, Cinzia Dezi, Nicole Garbellini, Emiliano Pergolari (gli amanti), Antonio Dikele Distefano, Moussa N’Diaye, Samba N’Diaye, Serigne Mbacke Niane, Bathie Niane, Madiama Fall, Falé Sarr, Pape Amadou Sowe, Salif Sowe (gli spiriti della notte)
ideazione Marco Martinelli, Ermanna Montanari
musica e regia del suono Luigi Ceccarelli
progetto luci Vincent Longuemare
scene e costumi Ermanna Montanari, Cosetta Gardini
costume della sirena il laboratorio dell’imperfetto
maschera di Sfondo Arianna Gallo, Luca Colomba
assistenti luci Francesco Catacchio, Valentina Venturi
diffusione del suono Angelo Benedetti, Giovanni Belvisi
assistente suono Luca Fagioli
suoni di flauti Gianni Trovalusci
registrazione e postproduzione audio Edisonstudio Roma
direzione tecnica Andrea Mordenti
direttore di scena Enrico Isola
macchinista attrezzista Francesca Pambianco
scenotecnica Uria Comandini, Vincenzo Fico, Dennis Masotti, Jacopo Pranzini, Elisa Tirelli
assistente alla regia Francesca Amati
consulenza linguistica Franco Nasi
traduzioni e versi in romagnolo Nevio Spadoni
promozione Francesca Venturi
regia Marco Martinelli
produzione La Biennale di Venezia, Ravenna Festival, Santarcangelo dei Teatri, Ravenna Teatro
Prima nazionale: Venezia, La Biennale di Venezia, Teatro Piccolo Arsenale, 14 giugno 2002
Perché tacciono gli antichi teatri? Perché più non gioisce la danza? Perché non suggella più un Dio la fronte dell'uomo?