l'opera
Il testo di Schwab, che fin dalla prima lettura ci aveva attratto e imbarazzato, una volta arrivati alle prime prove sul palco, si sbriciolava davanti ai nostri occhi. Quelle battute, astratte e materiche allo stesso tempo, perdevano completamente di senso. Il testo feroce e commovente di Schwab ci sfuggiva, richiedendo un altro spazio. Da qui l’idea di chiuderci in una saletta dove lo spettatore avrebbe potuto spiare quelle figure disperate, prossimo a quei prossimi che si sterminano. Una tana-psichica più che un appartamento, un po’ come quella di Gregor Samsa nella Metamorfosi, visto che i personaggi di Sterminio sembrano parlati come scarafaggi kafkiani.
Abbiamo affidato questa intuizione a Vincent Longuemare, che insieme a Enrico Isola l’ha trasformata in un bunker, completamente realizzato dalla squadra tecnica delle Albe, una baracchetta da campo di concentramento, in cui affondare l’incubo della signora Cazzafuoco, l’anacronistica aristocratica nazi-Circe.
Costruzione per lampi, cinematografica. Le pile che gli attori impugnano nel primo e nel terzo atto costruiscono l’immagine come una sequenza di fotogrammi: i primi piani diventano cinema, e il corpo è lì, a un metro, ne puoi percepire l’odore, la carne. Nel bunker di Sterminio lo spettatore è dentro lo spazio, in un qualche modo complice. Se il primo e il terzo atto sono un montaggio di contrasti luce-ombra, spettri generati dal movimento e dalla lotta, il secondo e il quarto sono congelati in una stasi da museo delle cere. E queste scelte diverse sono legate alle temperature di ciò che accade nei vari “appartamenti”, dove ogni spazio riflette oniricamente la natura dei suoi abitanti: quello viscerale dei Verme, quello saziato-torbido dei Kovacic piccoli borghesi, quello dove si consuma lo sterminio al veleno della strega-kapò Cazzafuoco, quello (lo stesso precedente, ma trasfigurato) dove si ricompone il quadretto condominiale con peonie e canzoncina di buon compleanno. Tutti sono immersi in un’aura da incubo che scarta da subito ogni naturalismo per concludersi nell’iperrealistica fotografia di un sereno paesaggio montano: finale lieto, acido, obbediente alla definizione che l’autore ha dato di Sterminio, una “commedia radicale”.
«Guardo per ore intere col cannocchiale come fanno gli uomini ad ammazzarsi.» Tolstoj, Diario, 1854.
Marco Martinelli
Ermanna Montanari
Ravenna, novembre 2006
crediti
di Werner Schwab
traduzione di Sonia Antinori
regia Marco Martinelli
con Alessandro Argnani, Paola Bigatto, Luigi Dadina, Cinzia Dezi, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Laura Redaelli
spazio Enrico Isola, Vincent Longuemare
costumi Vincent Longuemare, Ermanna Montanari
progetto luci Vincent Longuemare
direzione tecnica Enrico Isola
assistente luci Francesco Catacchio
musiche degli intermezzi Olivier Messiaen, Quatuor pour la fin du temps (1940)
consulenza musicale Franco Masotti
realizzazione costumi Laura Graziani Alta Moda, A.N.G.E.L.O.
realizzazione spazio squadra tecnica Teatro delle Albe: Fabio Ceroni, Camilla Cerretti, Luca Fagioli, Danilo Maniscalco, Giuseppe Maniscalco, Dennis Masotti, Francesca Pambianco, Giorgio Ritucci
movimenti di scena Luca Fagioli, Danilo Maniscalco
foto Christian Contin, Enrico Fedrigoli
promozione Silvia Pagliano, Francesca Venturi
produzione Ravenna Teatro
ringraziamenti Maria Luisa Bertozzi, Edda Cottignoli, Viola Giacometti, Italsedie, Leda Minguzzi, Donata Modanesi, Renata Molinari, Barbara Pambianchi, Edoardo Sanchi, Cristina Ventrucci
Il testo Sterminio è contenuto nel volume Drammi fecali di Werner Schwab, Ubulibri, Milano, 2006
Prima nazionale: Ravenna, Teatro Rasi, 14 novembre 2006
Ovvio che voi morivate da sempre dalla voglia di ficcare il naso in casa della Cazzafuoco. Prego, oggi potete cogliere l'occasione. Ho previsto tutto, fidatevi. Tutto ha un suo principio finito e un suo precipizio infinito.